4. La violenza intrafamigliare assistita

Cosa è, come riconoscerla, quali sono le conseguenze nel breve e nel lungo periodo

Premessa
La violenza intrafamigliare assistita è una forma di violenza legata alla violenza sulle donne, eppure non se ne parla spesso. La stragrande maggioranza della popolazione italiana non sa bene cosa sia e non conosce la portata del fenomeno. Ma le conseguenze di questa forma di violenza sono gravissime, sia a livello personale e relazionale sia a livello sociale.


Una definizione di violenza intrafamigliare assistita
La violenza intrafamigliare assistita viene definita per la prima volta nel 1999 dal Cismai1 come “il fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”. È dunque la violenza che subisce un/a bambino/a nell’ambito domestico, quando è costretto ad assistere a ripetute scene di violenza fisica, verbale, psicologica, di solito tra i genitori. Per essere considerati/e vittime di violenza assistita, i/le bambini/e non devono essere per forza fisicamente presenti agli atti violenti. I bambini percepiscono “quello che succede”, vivono la violenza attraverso i segni fisici sul corpo della madre o quelli psicologici (la tensione che si avverte nell’ambiente famigliare, lo stress, la depressione, ecc.) e hanno la capacità di cogliere ogni emozione delle persone di riferimento più vicine.
La violenza assistita è un fenomeno spesso sottovalutato e/o ignorato ma diffuso: in Italia tra le donne che hanno subito violenza, il 65,2% aveva figli al momento della violenza, che nel 71% dei casi hanno assistito (il 16,3% raramente, il 26,8% a volte e il 27,9% spesso) e nel 24,7% l’hanno subita (l’11,8% raramente, l’8,3% a volte, il 4,7% spesso)2.
Quando la violenza famigliare sfocia nel femminicidio, i bambini e le bambine vittime di violenza assistita diventano orfani di femminicidio o orfani speciali. Bambini/e e ragazzi/e che si trovano nella condizione di aver perso entrambi i genitori (la madre perché vittima di omicidio, il padre perché arrestato o in alcuni casi suicidatosi dopo il delitto). Bambini/e e ragazzi/e che devono affrontare il trauma psicologico ed emotivo delle violenze e della perdita, ma anche il trauma pratico di dover cambiare abitudini e di dover iniziare una nuova vita con una nuova famiglia (di solito si tratta di parenti, ma è pur sempre un nuovo contesto).
Si può facilmente intuire quali siano le conseguenze emotive per un bambino/a che vive un’esperienza simile. Più difficile è immaginare altri tipi di conseguenze, non solo per i bambini/e orfani di femminicidio ma in generale per tutti quelli/e che hanno vissuto esperienze di violenza intrafamigliare.
Le conseguenze sulla salute sono di tipo psicologico ma anche fisico. Nel breve periodo possono essere frequenti problemi di insonnia o di incubi notturni, disagi legati alla paura, alla confusione, rabbia, senso di colpa e di vergogna; nel medio- lungo termine sono frequenti disturbi quali lo stress post traumatico, la depressione e l’ansia, ma anche disturbi fisici quali diabete, malnutrizione, problemi visivi, limitazioni funzionali, attacchi cardiaci, artrite, problemi alla schiena, di pressione del sangue, danni al cervello, emicrania cronica, patologie dell’apparato respiratorio, cancro, infarti, patologie intestinali, sindrome da fatica cronica.
Vi sono poi conseguenze sulle relazioni: difficoltà a relazionarsi con gli altri, comportamenti violenti (che si traducono per esempio in forme di bullismo), introiezione della violenza come modalità normale di gestire le relazioni e di una visione distorta dei rapporti tra i generi. Strettamente collegate a tutti questi disturbi vi sono conseguenze importanti sul principale ambito di vita di bambini/e e ragazzi/e: la scuola. È indubbio che un bambino/a vittima di violenza avrà difficoltà a scuola: nel mantenere la concentrazione, nel seguire le lezioni, nello studio, nella frequenza scolastica. Infine non bisogna dimenticare uno dei risvolti più gravi della violenza assistista intrafamigliare: la sua trasmissione di generazione in generazione. Cosa significa? Tutti gli studi ci dicono che i bambini e le bambine che sono stati/e vittime di violenza assistista da piccoli, da grandi tenderanno a riprodurre gli stessi comportamenti. Per le bambine è elevata la probabilità che da adulte diventino vittime di violenza, per i bambini che diventino maltrattanti. Secondo i dati Istat in Italia tra tutte le donne che sono state vittime di violenza, 6 su 10 sono state picchiate da piccole dal padre. Se ci pensiamo bene è abbastanza scontato: in fondo nella nostra infanzia introiettiamo determinati modelli genitoriali e di relazione di coppia, che influenzeranno i modi in cui ci relazioneremo con i nostri partner nella vita futura. Se impariamo che l’unica modalità di relazione è la violenza e che i rapporti tra i generi si basano sul dominio maschile, tenderemo a riprodurre queste dinamiche nella vita adulta. Eppure quando sentiamo parlare di violenza assistita, spesso non pensiamo a questo aspetto. In generale, a dire il vero, tra gli italiani c’è ancora poca consapevolezza del fenomeno, e dunque delle sue conseguenze. Da un sondaggio svolto da WeWorld con Ipsos3 emerge che la metà degli italiani non ha mai sentito parlare di violenza intrafamigliare assistita e il 36% l’ha solo sentita nominare. Gli italiani non hanno neppure completa consapevolezza delle conseguenze della violenza assistita sui bambini e le bambine. Solo circa 1 italiano su 3 sa che la violenza si trasmette di generazione in generazione. Dallo stesso sondaggio emerge come per gli italiani dovrebbero essere soprattutto le famiglie a farsi carico di sensibilizzare rispetto ai temi della promozione della parità tra uomini e donne e del rispetto delle differenze, come strumenti per prevenire la violenza contro le donne e i bambini/e. Ma, poiché la violenza contro le donne e quella assistita sui bambini si verificano proprio all’interno delle famiglie, è fondamentale agire anche e soprattutto in altri contesti: la scuola (di ogni ordine e grado) deve essere primaria agenzia educativa rispetto a queste tematiche. Ma lo possono essere anche i contesti lavorativi, dove ognuno di noi trascorre la maggior parte della propria vita quotidiana, e dove si può diffondere conoscenza, sensibilizzare uomini e donne e fornire gli strumenti per eventualmente individuare casi a noi vicini di violenza contro le donne e i bambini/e. 

1. CISMAI (2017), Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita, http://cismai.it/requisiti-minimi-degli-interventi-nei-casi-di-violenza-assistita/ . Il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (CISMAI) è un’associazione formata da vari Centri e Servizi appartenenti al settore pubblico (Comuni e ASL) e al terzo settore (Cooperative sociali, associazioni no-profit e di volontariato), ma anche singoli professionisti (assistenti sociali, psicologi, medici, neuropsichiatri, avvocati, educatori) attivamente impegnati nella tutela, protezione e cura delle bambine e dei bambini maltrattati e delle loro famiglie.


2. Istat (2015), La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia, https://www.istat.it/it/archivio/161716

3.WeWorld (2017), Gli italiani e la violenza assistita: questa sconosciuta. Brief Report n. 4, https://www.weworld.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/brief-report-n-4

Elena Caneva
Martina Albini
Area Advocacy, Policy e Centro Studi, WeWorld Onlus